Page 41 - Unimore e il terremoto del 2012 in Emilia-Romagna
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Figura 9. Il collasso della parte centrale della copertura, che mostra la disposizione a lisca di pesce dei
             copponi crollati, ed un dettaglio di rottura della barra di connessione.


             Non meraviglia, quindi, che l’edificio, soggetto ad azione sismica longitudinale, abbia
             manifestato una crisi locale sul pilastro centrale del soppalco, quello con maggior sfor-
             zo normale (e quindi minor duttilità) e con spostamenti di crisi in direzione –x (dire-
             zione di massima rigidezza).
             Il pilastro si è rotto a taglio e le barre di collegamento trave-pilastro sono state tranciate
             (Figura 9).
             È appena il caso di notare come il tipo di rottura a tranciamento delle barre di colle-
             gamento sia di tipo fragile e non consenta le ridistribuzioni plastiche necessarie per
             potersi rifare ad un modello di calcolo basato su sole condizioni d’equilibrio. In altre
             parole, il collasso di una singola connessione porta alla sua rottura, seguita da un crollo
             “a castello di carte”, senza che ci si possa giovare dell’eventuale resistenza residua degli
             elementi strutturali contigui.

             Il problema dei collegamenti alla base dei pilastri prefabbricati

             Il tipo di connessione più utilizzato per solidarizzare i pilastri prefabbricati con le fon-
             dazioni in calcestruzzo armato consiste nella realizzazione di pozzetti (bicchieri) gettati
             in opera e solidali alle fondazioni in cui vengono inseriti i pilastri prefabbricati, inghi-
             sandoli con un getto di betoncino. L’armatura di questi pozzetti veniva calcolata con
             il “metodo delle bielle”, utilizzando semplici considerazioni d’equilibrio; viceversa non
             era nella prassi corrente effettuare delle verifiche sui livelli tensionali del calcestruzzo,
             anche dopo l’emanazione di alcune circolari (CNR-10025/84) che ne prevedevano il
             controllo. Il dimensionamento dei pozzetti con tali normative avrebbe richiesto spes-
             sori delle pareti e aree dei ferri di armatura tra il doppio ed il triplo rispetto a quelle
             normalmente impiegate nella prassi costruttiva. Ora, anche negli edifici in cui i pilastri
             sono giunti a rottura per la formazione di una cerniera plastica in prossimità della testa
             del bicchiere (cerniera plastica talvolta nascosta nello spessore tra il piano di calpestio
             e l’estradosso del pozzetto), si è potuto verificare che i pozzetti, nonostante gli spessori
             ridotti della parete (20÷25 cm) e la modestissima quantità di armatura, non hanno ma-
             nifestato né cedimenti né fessurazioni. Se ne deve concludere che il meccanismo resi-
             stente del complesso fondazione-pozzetto è molto diverso rispetto a quanto ipotizzato
             dalle contestatissime CNR-10025/84.

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