Page 50 - Unimore e il terremoto del 2012 in Emilia-Romagna
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sia un’area bassa a sismicità. Ciò deriva anche dal fatto che questo settore dell’Italia è
             classificato dall’INGV appunto a “bassa pericolosità sismica”. Una zona a “bassa perico-
             losità sismica” non significa che non è in grado di provocare terremoti di forte intensità,
             ma di farlo più raramente e senza grande costanza come invece avviene per le zone ad
             alta pericolosità sismica; meno probabilità quindi, ma non impossibilità di accadimento
             di forti terremoti.
             Un’altra visione derivante da un’errata conoscenza del territorio è che i depositi allu-
             vionali che costituiscono la Pianura Padana dovrebbero contribuire a ridurre gli effetti
             delle scosse sismiche, quando, in realtà, è vero il contrario.
             Un’altra delle ragioni delle carenti conoscenze è la perdita di memoria storica sui forti
             terremoti del passato. Ad esempio, il già citato terremoto di Ferrara del 1570 (M = 5,5)
             fu richiamato alla mente solo dopo lo shock del 20 maggio 2012. Il terremoto di Ferrara
             è stato caratterizzato da una sequenza sismica della durata di quattro anni e pertanto,
             poiché all’epoca non esistevano i sismografi in grado di registrare anche gli eventi di
             bassa magnitudo, questo significa che sono stati quattro anni di terremoti “percepiti”
             dalla popolazione.
             Come conseguenza di quanto detto la popolazione e i media volevano essere a co-
             noscenza di cosa stesse avvenendo e si erano immediatamente diffuse notizie pseu-
             do-scientifiche (i cosiddetti “rumours”) più velocemente e con maggiore effetto di quel-
             le scientifiche, perché amplificate dai social network.
             Ad esempio circolavano notizie in base alle quali sarebbero stati diffusi dati volutamente
             sottostimati sulla magnitudo dei principali eventi (M= 5,9 e 5,8) per evitare risarcimenti
             dei danni. Queste voci erano imputabili al fatto che veniva confusa la scala Richter (che
             misura la magnitudo, cioè l’energia sprigionata da un terremoto nell’ipocentro) con la
             scala Mercalli (che misura l’intensità di un terremoto, sulla base dei danni provocati;
             questi non dipendono solo dalla forza del terremoto, ma da diversi altri aspetti tra cui
             le caratteristiche del sottosuolo ed ovviamente delle costruzioni).
             Altre voci riguardavano la presenza nel sottosuolo della pianura di “caverne, voragini
             o vulcani” da cui proveniva la sabbia che la gente ha visto fuoriuscire dalle spaccature
             del terreno e dai pozzi. Tale materiale invece proviene da livelli sabbiosi presenti nel
             sottosuolo, in corrispondenza di corsi d’acqua abbandonati, e trascinati in superficie
             dall’acqua per effetto della propagazione delle onde sismiche.
             Inoltre parte della popolazione attribuiva i terremoti non a cause tettoniche legate alla
             dinamica dell’Appennino settentrionale (quindi cause “naturali”), ma alle azioni realiz-
             zate dall’uomo e, nel caso specifico, all’attività di “fracking”, al “deposito gas di Rivara
             e all’attività dei pozzi petroliferi di Cavone; Rivara e i pozzi di Cavone sono ubicati
             nell’area epicentrale.
             Il “fracking”, è una tecnica di microfratturazione idraulica dei sedimenti utilizzata nel
             nord America e solo marginalmente nel nord Europa per lo sfruttamento di gas (me-
             tano) disperso in sedimenti argillosi (shale gas). In alcuni casi questa tecnica crea una
             micro-sismicità che può dare problemi proprio perché esercitata in sedimenti piuttosto
             superficiali. In Italia non esistono sedimenti che contengano metano sfruttabile in modo
             significativo. Inoltre nessuna di queste ricerche può essere fatta di nascosto perché
             richiedono impianti complessi e visibilissimi.
             Il progetto dell’impianto di stoccaggio di gas metano nel sottosuolo di Rivara era già
             stato respinto dalle autorità locali e regionali (e successivamente anche nazionali) e

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